Cittadinanzattiva:
“Serve un piano nazionale per superare la frammentazione dei servizi”
Per potersi sottoporre a un’ecocardiodoppler in una
struttura pubblica bisogna aspettare circa 134 giorni se si fa richiesta presso
la Asl Roma D, 189 alla Roma E, 198 alla Roma H e fino a 372 giorni per
effettuare questo accertamento presso l’azienda ospedaliera San Camillo
Forlanini.
Sono questi i tempi di attesa rilevati dall’indagine presentata
presso la Camera dei Deputati “Mi sta a cuore”, che Cittadinanzattiva - Tribunale
per i diritti del malato ha condotto per conoscere meglio le modalità con cui
alcune Regioni e Asl stanno intervenendo per migliorare le reti per la
prevenzione, la cura e la presa in carico dei pazienti con patologie cardiovascolari
e cerebrovascolari.
Si tratta di una ricerca dal grosso impatto sociale visto
che si sta parlando di patologie come l’ictus che rappresenta la prima causa d’invalidità
al mondo, la seconda causa di demenza e la terza di mortalità nei paesi
occidentali. Alta l’incidenza anche in Italia, dove oltre il 12% della
popolazione soffre di disturbi cardiovascolari, il 40% delle morti per malattia
sono determinate da problemi di natura cardiaca e quasi un milione di persone
convive con gli effetti invalidanti di un ictus.
Nella ricerca sul territorio sono state coinvolte 16 aziende
sanitarie locali e ospedaliere, gli Assessorati alla Salute delle Regioni
Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Veneto e diversi rappresentanti
dei professionisti sanitari e delle Associazioni di pazienti Conacuore Onlus,
Alice Onlus, AMD, CARD, SIPREC, SIDV.
“Le informazioni dell’indagine – ha dichiarato Tonino Aceti,
Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di
Cittadinanzattiva – mostrano la necessità di un Piano nazionale di
programmazione degli interventi socio-sanitari nell’area dell’assistenza cardio
e cerebro-vascolare, che nasca dal lavoro congiunto dei diversi stakeholder,
organizzazioni di cittadini e pazienti comprese, per dare uniformità ai diritti
dei cittadini, garantendo un uguale accesso alle cure sui territori regionali e
locali e livellando al rialzo il grado di qualità e sicurezza degli interventi”.
Nel Lazio, tenendo in considerazione i dati emersi dalle
strutture coinvolte nell’indagine, le aree più periferiche e distanti da Roma
sono quelle più penalizzate: nel territorio della ASL di Frosinone e nella Roma
H, ad esempio, non si effettua la trombolisi. E nonostante le delibere e i
decreti regionali del 2010 alcuni centri ictus previsti “sulla carta” non sono
ancora attivi.
Ma una soluzione ci sarebbe. Viste le notevoli disparità sul
territorio nazionale, la definizione e implementazione di Percorsi diagnostici
terapeutici sull’intero territorio italiano (PDTA) rappresenterebbero una
risposta efficace per tutti: dalle Regioni alle ASL, dai professionisti ai cittadini, costretti troppo
spesso a dover lamentare tempi di attesa molto lunghi, difficoltà legate
all’assistenza territoriale e all’accesso ai farmaci e anche dismissioni
premature.
A cura di Progetto Archimede
www.progettoarchimede.com
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