
Le infezioni più conosciute perché più allarmanti, come Ebola, hanno ottenuto forse maggiore attenzione da parte dell’opinione pubblica e dei media ma tante altre forme infettive possono recare danni agli operatori sanitari ed esporli a seri rischi come la tbc, l’Hiv, epatite B per citarne alcune. E pochi pensano che altre infezioni molto più frequenti e considerate “tranquille” , come il morbillo o la mononucleosi, possono eccezionalmente creare seri problemi in caso di trasmissione al personale.
Gli staff dei PS italiani sono chiamati a gestire questa possibile nuova emergenza mentre da anni vivono una condizione oramai cronica di sovraffollamento, che certo non facilita le azioni di contenimento e controllo del rischio infettivo da mettere in campo e rispetto alla quale pochissime Regioni hanno intrapreso iniziative idonee a contrastare il fenomeno.
Se da una parte gli operatori dell’emergenza vengono considerati a rischio infettivo e fondamentali per la gestione clinica dello stesso per tutti i cittadini, dall’altra a chi lavora in pronto soccorso non viene riconosciuta l’indennità di rischio infettivo, con una capacità logica tutta italiana. E forse molti non sanno che oggi nei nostri pronto soccorso ci sono medici che, lavorando ben oltre la metà del proprio orario di servizio in turni notturni e festivi, guadagnano al netto 1.300 euro al mese, dopo almeno una dozzina d’anni di studio tra laurea, specializzazione ed esame di stato.
In questi giorni è stato chiesto ad alcuni operatori, in una trentina di pronto soccorso sparsi per l’Italia, di raccontare come si stavano attrezzando per l’emergenza ebola. Le risposte sono state molto variegate.
Ci si attende quindi che tutti i pronto soccorso vengano dotati, dalle rispettive direzioni aziendali, dei presidi di protezione individuale, delle procedure di formazione e dei protocolli previsti per gestire i casi di possibile infezione da Ebola.
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