“Il fenomeno di progressiva “proletarizzazione” dei medici non trova
riscontro solo nel peggioramento delle loro condizioni economiche. A essere
sempre più compromessa è la capacità di incidere su aspetti vitali della loro
attività professionale: dalle condizioni di lavoro (orario, turni,
reperibilità), al salario; dalle modalità di conferimento degli incarichi alla
revoca di quelli di struttura semplice e complessa indipendentemente da ogni
procedura di valutazione. Un fenomeno che peraltro interessa, anche se in forma
più contenuta, tutto il comparto della pubblica amministrazione, additato dalla
stampa e da molti politici come il principale responsabile del dissesto
finanziario del paese. E basta a tal proposito ricordare le campagne lanciate
da Brunetta contro i fannulloni annidati nella pubblica amministrazione per
capire come l’operazione sia stata architettata a tavolino.
Sarebbe tuttavia
illusorio dare tutta la responsabilità a Brunetta, che pure passerà alle
cronache come il ministro che ha azzerato il sindacato, perché in realtà il
brunettismo è diventato il master regolatore anche degli altri ministri a lui
succeduti che da quelle politiche si sono dissociati solo a parole. Quante
volte abbiamo sentito dare la colpa di tutto allo strapotere del sindacato,
eppure, oggi che il sindacato non ha più ruolo nella pubblica amministrazione,
le cose non sono certo migliorate, ma anzi. La spesa pubblica, attraverso la
compressione degli organici e dei salari dei dipendenti pubblici (e delle
relative pensioni) è ora, a livello macro, inferiore alla media europea; tutto
questo tuttavia è avvenuto esclusivamente a scapito della qualità del servizio
che, già storicamente bassa, è ulteriormente peggiorata come del resto
segnalato solo alcuni giorni orsono dalla Corte dei Conti. E’ allora chiaro che il fine di quelle campagne
denigratorie non era quello della razionalizzazione della spesa, perché in
questo caso le ricette di Cottarelli non sarebbero state completamente ignorate
nonostante alcuni aspetti positivi in esse contenute (a partire da taglio alle
partecipate e degli scandalosi benfit dei politici); l’obiettivo era quello di
sviare l’attenzione dai veri sprechi e dalla corruzione che si annida altrove e
che interessa, come dimostra la terribile vicenda di mafia capitale, in modo
preminente, gli appalti e le procedure usate da numerosi enti locali per il
loro affidamento.
Ho il dispiacere di avere conosciuto alcune di
quelle persone coinvolte a vario titolo nella terra di mezzo di mafia capitale;
persone che hanno ricoperto incarichi di responsabilità a livello regionale in
settori legati alla sanità e per le quali ho sempre avvertito una profonda
avversione. Ora capisco che quel sentimento non era dovuto tanto al loro
atteggiamento supponente quanto piuttosto al loro modo lobbystico di gestire la
cosa pubblica e di passare, non per spirito di servizio ma per una sorta di diritto
divino, dalla regione al comune, dagli scranni del parlamento alla
responsabilità politica di partito senza interruzione alcuna.
Ritornando al tema iniziale, chiunque abbia la
possibilità di incontrare medici e altro personale sanitario che opera nelle
diverse regioni del paese (e questo ho potuto fare al congresso europeo di
Allergologia tenutosi pochi giorni orsono), può toccare con mano il drammatico
arretramento delle condizioni di lavoro negli ospedali e nei territori. Dalla
Sicilia alla Calabria dalla Toscana alla Lombardia le politiche restrittive sul
personale hanno aumentato il carico di lavoro individuale portando molti
professionisti a dimettersi anticipatamente perché distrutti dai turni e dalle
responsabilità. Non dissimile la situazione sui territori dove i pensionati non
vengono sostituiti e i servizi lasciati nell’abbandono totale. E dovunque di
scarsa utilità o ostile il supporto amministrativo che spesso (vittima anche
esso delle politiche regionali di tagli crescenti e indiscriminati), non è in
grado di fornire il supporto tecnico necessario.
Sul fronte del governo, nonostante le continue
promesse di cambiamenti, nulla è stato fatto per segnare una rottura rispetto
alle politiche di smantellamento e progressiva privatizzazione della sanità dei
governi precedenti. Né è dimostrazione evidente il Dpef recentemente approvato,
i cui dati, come spiega la senatrice Nerina Dirindin, “confermano una
ulteriore, preoccupante contrazione della incidenza della spesa sanitaria sul
Pil: 6,8% nel 2015 e 6,5% nel 2019. Per il futuro non ci si può che aspettare
un drastico peggioramento della posizione italiana nel panorama dei sistemi
sanitari europei, con una riduzione dell’offerta di servizi e un peggioramento
della qualità dell’assistenza”. I medici dunque vedono peggiorare di giorno in
giorno le loro condizioni di lavoro ma di questo non sembra preoccuparsene
minimamente la Fnomceo che invece di aprire una vertenza nazionale con il
presidente Renzi e chiamare a difesa del lavoro medico l’intera categoria,
rimane in religioso silenzio. Voglio
ricordare agli attuali dirigenti che solo pochi anni fa sotto la presidenza di
Aldo Pagni, le cose andavano in modo totalmente diverso. A quei tempi la Fnom
era un interlocutore privilegiato ed obbligato per il Ministro Bindi e non
c’era norma che interessasse i medici che non fosse stata preventivamente
sottoposto alla federazione per recepirne le valutazioni di merito. Ricordo
ancora che la Ministra Bindi, a cui non mancava certo il coraggio, fece di
tutto per impedire lo sciopero indetto da Fnom e sindacati e per ottenere ciò
si fece direttamente carico con il Presidente Prodi di trovare le ingenti
risorse necessarie al rinnovo del contratto. E così fu. Nulla di questo si è visto dopo la presidenza Pagni, e
l’atteggiamento è stato quello di filosofeggiare senza essere in grado di farlo
(non avendo il successore la cultura di Pagni), di pestare l’acqua nel mortaio
della politica di palazzo senza occuparsi minimamente della casa che intanto
bruciava. I medici sono rimasti soli anche quando si è riuscito, con un colpo
di mano, a sottrarre loro le competenze, e anche in questo caso lungo è stato
il silenzio della Fnomceo che solo all’ultimo ha deciso di prendere timidamente
atto della situazione. Se tutto questo si
fosse verificato negli anni passati, i medici si sarebbero ribellati e
avrebbero occupato le sedi degli Ordini e della federazione, ma oggi è talmente
forte lo sconforto che ciascuno dei sopravvissuti in servizio cerca di mettersi
in salvo come può; ancora più impotenti sembrano i giovani medici senza lavoro
o con lavoro precario (anzi ex precario come sostiene il Ministro Poletti) che
da tale situazione sono i più penalizzati e che invece di assistere
passivamente allo sfarinamento delle loro legittime aspirazioni dovrebbero
reagire con determinazione. Ho sempre
contestato l’obbligo di iscrizione agli ordini professionali e oggi i fatti mi
dimostrano che in quella mia posizione non era l’aspetto ideologico a prevalere
ma la consapevolezza che la legge ferrea dell’oligarchia è la regola che
informa la totalità delle organizzazioni umane. I gruppi dirigenti iniziano con
una razionalità orientata i fini e inevitabilmente finiscono per adottarne una
orientata ai mezzi. Una razionalità che cerca il compromesso ad ogni costo ed
evita il contrasto con i signori della politica perché in mano a costoro è la
vite senza fine degli incarichi quando verranno i giorni triste del fine
mandato. Ci vorrebbe dunque un segno di
discontinuità e la Fnomceo dovrebbe mettere il Presidente del Consiglio e il
Ministro Lorenzin di fronte alle loro responsabilità, aprendo una vertenza per
dare dignità al lavoro medico e denunciare lo smantellamento in atto del Ssn,
ma per fare questo servirebbero uomini e donne capaci di lottare a viso aperto
senza fare sconti a nessuno. Un genere di persone di cui purtroppo non c’è
traccia”.
Roberto Polillo
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