martedì 20 gennaio 2015

L'Ocse promuove la sanità italiana, ma i tagli pregiudicano il futuro

Non è facile gestire un bilancio risicato all’osso, specie quando questo bilancio viene da gestioni dissennate. E quindi non è facile neanche garantire che gli sforzi in atto per contenere la spesa in campo sanitario non vadano a intaccare la qualità dei servizi, specie quelli imprescindibili legati alla salute pubblica, facendo attenzione a non mettere in maggiore difficoltà le Regioni dalle infrastrutture più deboli, ma, al contrario, permettendo a queste di erogare servizi di qualità pari alle Regioni “migliori”. L'analisi è contenuta nella ‘Revisione Ocse sulla qualità dell’assistenza sanitaria in Italia’, frutto di un lavoro di indagine e ricerca avviato da un progetto del 2012 finanziato dal ministero della Salute ed elaborato dalla Divisione Salute dell’Ocse di Parigi, con la collaborazione di Agenas e della Direzione Generale della Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute. Lo studio mette in evidenza quelli che sono gli aspetti positivi del Sistema Sanitario nazionale individuati nel documento. Emergono in primis gli indicatori di esito, qualità ed efficienza che risultano uniformemente notevoli. L’aspettativa di vita, 82.3 anni, è la quinta più alta tra i Paesi Ocse.

I tassi di ricovero per asma, malattie polmonari croniche e diabete (indicatori di qualità delle cure primarie) sono tra i migliori e quelli di mortalità a seguito di ictus o infarto (indicatori di qualità dell’assistenza ospedaliera) sono ben al di sotto della media. L’assistenza è buona ed è erogata ad un prezzo contenuto, pari a 3.027 dollari pro capite. Il sistema delle cure primarie ha fornito un’assistenza primaria di alta qualità, come dimostrato da indicatori di qualità quali il ricovero ospedaliero evitabile; i livelli di soddisfazione del paziente sono anch’essi alti. L’Italia ha compiuto un passo importante verso il maggiore coordinamento e l’integrazione dell’assistenza con la Legge Balduzzi, che incoraggia la creazione di reti di assistenza territoriale. E il personale sanitario offre, nel complesso, un’assistenza di alta qualità.
L'Ocse apprezza poi il contesto e il quadro istituzionale di assetto di cui si è dotato il sistema: il Patto per la Salute, i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), il Sistema Nazionale di Verifica e Controllo sull’Assistenza Sanitatia (SIVeAS), il Programma Nazionale per la Promozione Permanente della qualità nel Servizio Sanitario Nazionale (PROQUAL); l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). A queste iniziative si aggiungono: il Sistema Nazionale per le Linee Guida per rendere facilmente accessibili le linee guida per la pratica clinica; l’Osservatorio Nazionale Buone Pratiche nel 2008 per migliorare la sicurezza del paziente, che è un eccellente dimostrazione del ciclo Plan-Do-Study-Act, considerato a livello internazionale come un modello di successo da emulare; la Conferenza Unificata tra Stato, Regioni, Comuni ed Enti Locali, come meccanismo mirato a garantire uniformità di approccio alla misurazione e al miglioramento della qualità tra le Regioni e le Province. L’Italia possiede un ampio numero di ricchi database nazionali e regionali e numerosi registri dei pazienti che contengono informazioni sulla qualità e sugli esiti dell’assistenza sanitaria. La creazione del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS) è stata un passo importante per utilizzare al meglio questi dati: un obiettivo chiave è stato standardizzare il tipo e il formato dei dati raccolti nei sistemi sanitari regionali italiani.
Ma anche le criticità non mancano. Filo conduttore risiede nelle difficoltà a migliorare la qualità e la riorganizzazione del sistema che hanno così assunto un ruolo secondario quando la crisi economica ha iniziato a colpire. E, all’interno di questo quadro, il risanamento delle finanze è divenuto priorità assoluta, nonostante i bisogni in fatto di salute evolvano rapidamente. Per esempio, ricorda lo studio, gli indicatori relativi a demenza, numero di anni di vita in buona salute e limitazioni nelle attività quotidiane dopo i 65 anni sono peggiori rispetto alle medie Ocse e il tasso di bambini in sovrappeso è tra i più alti dell’area Ocse. L’Italia deve, infatti, confrontarsi con un crescente invecchiamento della popolazione ed un aumentato carico delle patologie croniche, che probabilmente si tradurranno in aumentati costi dell’assistenza ed ulteriore pressione sul settore delle cure primarie. Tuttavia il progresso verso un modello di sistema sanitario in cui la prevenzione e la gestione di tali patologie siano in primo piano è piuttosto lento e i servizi per l’assistenza di comunità, a lungo termine e di prevenzione sono poco sviluppati rispetto agli altri Paesi Ocse. A testimonianza di ciò il fatto che l’Italia spende meno di un decimo di quanto spendono Olanda e Germania per la prevenzione e che presenta la più bassa percentuale di operatori per l’assistenza a lungo termine osservabile nei Paesi dell’Ocse, in rapporto alla popolazione con 65 anni di età e oltre.

Nel complesso, rileva l’Ocse, Il sistema sanitario italiano è stato caratterizzato da un alto livello di frammentazione e mancanza di coordinamento dell’assistenza erogata dai diversi professionisti. A preoccupare soprattutto l’osservazione che la spesa sanitaria nelle Asl appare ancora diretta verso tipi tradizionali di servizi di cure primarie, quali medici individuali, con una piccola spesa allocata a servizi per pazienti fragili o quelli con condizioni croniche. Sotto un profilo strutturale, l’Italia è un paese molto eterogeneo, sia dal punto di vista sociale che economico. Tale eterogeneità si riflette nel sistema sanitario. Malgrado i tentativi di armonizzazione, osserva l’Ocse, le differenze regionali in termini di qualità dell’assistenza rimangono significative. Tra le altre criticità individuate, i sistemi di pagamento che non sempre premiano i miglioramenti nell’assistenza clinica o negli esiti. Altre difficoltà sono legate a una carenza di informazioni sulla qualità orientata al paziente e sulla qualità dell’assistenza effettivamente erogata. Non vi sono, ad oggi, rilevazioni di indicatori di qualità o di esito a livello del singolo professionista. E, in generale, la diffusione delle informazioni sulla performance dei fornitori di cura resta sottoutilizzata come potenziale guida per il miglioramento continuo della qualità. In generale in Italia le buone intenzioni di policy non sono accompagnate da meccanismi adeguati che ne assicurino l’implementazione.

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