venerdì 17 aprile 2015

Ai medici il governo clinico e agli infermieri la gestione della cura *

Continua il dibattito sulla necessità di tracciare un confine tra il ruolo del medico e quello dell’infermiere che troppo spesso vanno in conflitto per una mancata intesa a monte e per una giurisprudenza “civica” che non c’è. Diciamo che una sintesi, ascoltando le ragioni dei malati, degli infermieri e dei medici, potrebbe essere questa: il malato vuole essere trattato e assistito in modi diversi rispetto al passato; i medici vogliono la titolarità incondizionata del governo clinico; agli infermieri spetta quella che si potrebbe definire la “gestione integrata della cura”. In questo prospettiva sarebbe il caso che lo stesso Ministero della Salute provveda a stilare un documento di intenti che si potrebbe accordare su tre semplici postulati:
· mettere al centro il malato in modo che né i medici né gli infermieri definiscano le loro faccende in modo auto referenziale;
· assumere i poteri dei soggetti professionali non le competenze, come terreno di mediazione e di cambiamento dei paradigmi professionali;
· assumere l’organizzazione del lavoro come il mezzo attraverso il quale garantire in modo compossibile, tanto al malato che al medico e all’infermiere, ciò che chiedono.

 
Spostare il tiro dalle competenze ai poteri significa spostare:
· il tiro dalle “cose da dover fare” alle “possibilità di chi fa” quindi alle “cose da poter fare”;
· l’attenzione dalle competenze e dagli atti... agli agenti e quindi entrare nella logica degli autori.
 
E’ molto burocratico ritenere, come fa il comma 566, la L. 42 o l’atto medico, che una competenza e un atto siano definibili in modo indipendente dalle caratteristiche dell’agente e dalle caratteristiche del setting di lavoro reiterando la solfa della formazione. Molto più realistico è definire “cosa fare” attraverso “chi fa e dove e come lo fa” (reticolo professionale). Ma il “poter fare”, quindi le autonomie delle professioni, non si possono definire in modo indipendente una dall’altra ma si devono definire in modo correlato perché le loro prassi debbono rispettare una sintassi, cioè un ordine di successione delle prassi. La cura e l’assistenza di un malato proprio come un discorso deve mettere in successione tanti tipi diversi di argomenti: si parte da quelli del malato... che diventano le premesse del discorso medico... che a loro volta diventano le premesse per quelle dell’infermiere ecc.
 
Siccome immagino l’obiezione di certi infermieri integralisti che conosco, e che vorrebbero una autonomia assoluta dal medico e quindi separare la clinica dall’ assistenza, chiarisco, a loro beneficio, che la sintassi non ha una logica gerarchica ma definisce semplicemente cosa devo fare prima e cosa devo fare dopo... prima ad esempio devo fare una diagnosi… poi posso fare una terapia... ma questo non vuol dire che la terapia è “meno centrale” della diagnosi ecc. Altra cosa è, nel rispetto delle regole sintattiche, “come faccio” quello che devo fare. In nessun modo è auspicabile rompere le regole della sintassi del lavoro perché si avrebbero delle prassi disconnesse caotiche o incomunicanti.
 
Propongo quindi al ministero della Salute, e alle professioni, di cercare un accordo sul terreno del “poter fare” per definire:
· dei confini tra i  poteri di autonomia;
· i poteri di autonomia in termini di prescrizioni proscrizioni engagement.


*Tratto da un intervento su Quotidiano Sanità di Ivan Cavicchi

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