La società, considerata nella sua completa essenza e cioè
luogo comunitario, è in continua evoluzione. Con essa modelli e situazioni che
creano sempre nuove e più complesse esigenze. Esigenze che presuppongono nuove
dinamiche non soltanto relazionali, ma anche giurisprudenziali. Per questo oggi
la nuova parola d’ordine è “conciliazione”. Ed è una sfida aperta che rientra
in una dimensione generale di adeguamento ai nuovi mercati ed ai nuovi processi
di lavoro, specialmente all’interno delle aziende sanitarie ed ospedaliere,
vincolate come sono al mantenimento dei livelli essenziali di assistenza e con
costanti ridotte risorse economiche disponibili. Conciliazione perché è
divenuto oggi necessario, nei rapporti tra il mondo del lavoro e l’essenza
della famiglia, predisporre direttive, informative, raccomandazioni e
suggerimenti, affinché si adottino misure in grado di salvaguardare la
possibilità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa. E non si tratta certo
di una questione meramente femminile includendo in essa equilibri famigliari
riguardanti sia l’uomo, la donna che i figli. Una visione d’insieme pertanto
risulta assolutamente necessaria per evitare una eccessiva “femminilizzazione”
della questione conciliazione, cosa che impedirebbe nei fatti un’effettiva
equità di genere, finendo con l’alterare la comprensione e la portata reale del
problema; la conciliazione andrebbe considerata, invece, come una questione di
famiglia, nella quale uomini e donne si sentano e siano ugualmente coinvolti.
Il Decreto Legislativo n. 150/2009 - meglio noto
come Decreto Brunetta - porta a rilevanti novità nel campo delle pari
opportunità, che è importante sottolineare. Tra queste, i fattori di
misurazione e di valutazione della performance organizzativa di
un’amministrazione. Il decreto Brunetta puntando sui principi della
meritocrazia, trasparenza ed efficienza ammette che i principi della parità e
delle pari opportunità facciano parte a pieno titolo di una normativa legata al
funzionamento organizzativo. Il decreto viene spesso rigidamente applicato
dalle direzioni generali delle aziende sanitarie ed ospedaliere, solo nelle
formule inerenti le relazioni sindacali, con i sofismi della mancata
concertazione sostituiti con la semplice informazione. “Come mai – si domandano
la Dott.ssa Maria Ludovica Genna e il Dott. Domenico Crea
dell’Osservatorio Sanitario di Napoli - le importanti modifiche e funzioni del concetto di
pari opportunità vengono - di fatto e frequentemente - abbandonate e
tralasciate? Chi dovrebbe peritarsi di metterle in pratica? Chi controllarne
l’avvenuta esecuzione? Chi deve governarne i processi di realizzazione? In
quali limite di tempo devono realizzarsi? E i Comitati unici di Garanzia (CUG),
che dovrebbero essere presenti ovunque nel panorama aziendale della P.A. - a
maggior ragione nel mondo sanitari - a che punto sono, insieme alla
salvaguardia di tali opportunità? Per quale motivo la conciliazione e la
flessibilità non paiono avere - nei fatti- la rilevanza che lo Stato,
attraverso le norme redatte, attribuisce loro? Per favorire la cultura delle pari opportunità – concludono - , anche in
ragione della maggiore presenza di donne nel servizio sanitario, occorre
vigilare sull’assunzione dei criteri di attuazione delle leggi della Repubblica
che tengano conto della conciliazione e della flessibilità e dei loro strumenti
attuativi, nonché proporre la regolare pubblicazione delle realizzazioni
avvenute, su tale traccia nella P.A. – AA.SS.LL./AA.OO, preferibilmente e
regolarmente aggiornate nel corso del tempo”.
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